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Il Giornale d'Italia

È tempo di Giustizia riparativa: la lettera di Marco Sorbara, vittima di malagiustizia, 909 giorni di carcere da detenuto innocente

Questa lettera non è una polemica, ma una proposta di riflessione profonda e costruttiva.

di Marco Sorbara

La recente liberazione di Giovanni Brusca, mafioso responsabile di una delle stagioni più drammatiche della nostra storia, ha riaperto in molti cittadini una ferita mai del tutto rimarginata. Comprensibilmente. Brusca non è solo l’uomo che ha azionato il telecomando di Capaci, ma anche colui che ha confessato oltre cento omicidi, tra cui quello terribile del piccolo Giuseppe Di Matteo. È una storia che ci interroga tutti, da qualunque punto di vista la si guardi.

Ma oggi, anziché fermarci alla reazione emotiva o alla sola indignazione, credo sia il momento di fare un passo in più. Se lo Stato ha avuto il coraggio di dare una nuova vita a Brusca, deve avere l’umiltà di riparare anche chi non ha un potere negoziale come quello di un ex capomafia.
La legge ha fatto il suo corso. L’uomo della strage di Capaci ha scontato la pena prevista dall’ordinamento, ha collaborato con la giustizia, e ha ottenuto i benefici previsti. Possiamo discutere se le norme vadano riviste, certo. Ma c’è un’altra riflessione ancora più profonda da fare, che riguarda il nostro modo di intendere la giustizia: punitiva o trasformativa? Statica o capace di evolversi?
È tempo di parlare seriamente di Giustizia Riparativa.
Questa visione – prevista già dalla nostra normativa e rafforzata dalla riforma Cartabia – non sostituisce la giustizia penale, ma la integra. La completa. È una giustizia che non cerca la vendetta, ma la comprensione; che non cancella il male, ma prova a trasformarlo in occasione di verità, riconciliazione e cambiamento.
La storia italiana recente ci offre un esempio straordinario di coraggio e umanità: quello di Agnese Moro e dei familiari delle vittime del terrorismo, che hanno deciso di incontrare, ascoltare e avviare un percorso profondo di dialogo con alcuni degli ex appartenenti alle Brigate Rosse. Un gesto che non cancella il dolore, ma lo attraversa, lo rende fecondo, lo orienta verso una trasformazione collettiva. Certamente non saró io a parlare del vero dolore delle vittime…

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